Nel nome del padre

Se vi state chiedendo chi è Martin Brando, mettetevi comodi. Dobbiamo spiegarvi tutto con molta calma, evitando di cadere nella tentazione di svelare tutta la verità.

Questa storia non inizia con “c’era una volta”, perché nessuno avrebbe tempo di leggerla, e poi a chi importa davvero cosa c’era una volta? Nemmeno ai motori di ricerca.

Quante volte avete letto la sezione “Storia” di un’azienda? Nel 1870 i padri fondatori fondarono la Nulla Spa*, la ditta (diffidate da chi dice ditta) che… bla, bla, bla. Bene, superiamo questa fase. E veniamo a noi. Da dove viene Martin Brando, che sentieri abbia percorso per arrivare fino a noi, di cosa si occupava fino a ieri, interessa a pochi. In uno scenario in cui tutti dicono quello che sono stati, le grandi imprese che hanno compiuto, noi vi rispondiamo: cercate su Google. Abbiamo nomi e cognomi, progetti realizzati, obiettivi, sogni, vizi e virtù, non necessariamente in quest’ordine.

In un contesto in cui la storia conta nel momento in cui è una grande storia noi vi rispondiamo con consapevolezza (e un pizzico di incoscienza) che questa narrazione vogliamo iniziare a costruirla ora. Passo dopo passo, lavoro dopo lavoro, storia dopo storia.

Sì, avevamo bisogno di un padre. Un padre professionale, un uomo che ci trasmettesse dei valori e delle competenze, forse qualcosa di più. Sarà perché a qualcuno di noi un padre è mancato, o è andato via presto, sarà perché molti il mestiere l’hanno appreso sul campo, ma non si sono mai fermati a fare due chiacchiere con una persona di riferimento, uno come Martin appunto.

Paul Arden diceva che il problema, quando si accumula troppo, è che si finisce per l’accontentarsi di quello che si ha. Alla fine ci si blocca. Se si dà via tutto, non ci rimane nulla. Questo ci costringe a guardarci intorno, a essere consapevoli, a fare rifornimenti. In qualche modo, più diamo via, più ci torna qualcosa indietro.

Ecco cosa ci ha insegnato Martin Brando: a raccontare storie, a trarre ispirazione, a leggere, ad ascoltare musica, ad avere un album di ritagli, ad avere degli eroi, a condividere ciò che ci influenza, perché aiuta a capire chi siamo e cosa facciamo, a volte ancora di più del nostro stesso lavoro.

Che voi ve ne accorgiate o meno, state già raccontando una storia. Ogni email che inviate, ogni conversazione, ogni tweet, ogni commento sul vostro blog è un frammento, uno scampolo di una narrazione multimediale che state continuamente costruendo.

Se volete essere più efficaci nel condividere informazioni dovete diventare ottimi narratori. Dovete sapere che cos’è una bella storia e come si racconta. Partiremo da qui, dall’insegnamento di Martin Brando: a tutti piacciono le belle storie, ma non tutti sanno raccontarle bene. Ci vuole una vita intera per imparare a farlo.

Se volete dei fan, prima di tutto dovete esserlo di voi stessi.

Se volete essere accettati da una community, per prima cosa dovete esserne ottimi membri. In sostanza: se online non fate che promuovere il vostro lavoro state commettendo un errore. Per ricevere qualcosa, bisogna dare qualcosa.

Se volete essere notati, dovete notare. Tacete e ascoltate, riflettete, siate attenti.

Martin Brando ci ha insegnato che se una cosa vi eccita dovete continuare a farla, se una cosa vi prosciuga smettete di farla.

La sapete la storia di Picasso? Nella sua biografia scritta da John Richardson c’è un aneddoto molto divertente, ripreso giù da Austin Kleon nel suo “Semina come un artista”. Pablo Picasso era noto per prosciugare l’energia dalle persone che incontrava. Sua nipote Marina dichiarò che strizzava le persone proprio come i tubetti di colore. Uno poteva spassarsela per un giorno intero insieme a lui e poi tornare a casa stremato, mentre Picasso tornava allo studio per dipingere tutta la notte, usando l’energia rubata. Molti si adeguarono alla situazione pur di stare vicini a Picasso, molti, ma non tutti.

Non lo scultore di origine romena Constantin Brancusi. Era originario dei Carpazi, e sapeva riconoscere un vampiro quando ne vedeva uno. Non aveva intenzione di permettere a Picasso di rubargli la sua energia, o i frutti di quella energia, così si rifiutò di avere qualsiasi contatto con lui. Brancusi mise in pratica quello che Kleon chiama “Il test del vampiro”. È un modo semplice per scoprire chi accogliere e chi eliminare dalla propria vita. Se dopo aver passato del tempo con qualcuno, vi sentite esausti e svuotati, la persona in questione è un vampiro. Se dopo aver passato del tempo con qualcuno, vi sentite ancora carichi di energia, quella persona non è un vampiro. Ovviamente il test del vampiro può essere applicato a molte cose diverse, non solo alle persone: al lavoro, agli hobby, ai luoghi.

Non c’è cura per i vampiri. Doveste ritrovarvi vicino a uno di loro, fate come Brancusi e banditelo dalla vostra esistenza. È quello che abbiamo fatto noi, prima di decidere, chi siamo, cosa facciamo, e perché lo facciamo. È una scelta difficile, perché non è semplice trovare competenze, ed è ancora più difficile trovare sintonie, persone con cui sentirsi a proprio agio. Ma è un percorso irreversibile che abbiamo deciso di affrontare, consapevoli che non c’è un’altra strada, e non sono accettabili compromessi.

Così, noi stiamo provando ad avere imbarazzo per quel che eravamo qualche anno fa. Se non lo facessimo non staremmo imparando abbastanza. E cosa può trasmettervi chi non continua a migliorare in un mondo dove quello che apprendi oggi è già vecchio? Dove le conoscenze del cliente, a volte, sono maggiori rispetto a quelle del fornitore?

Martin Brando ci ha lasciato in eredità, come un padre, questa spinta al miglioramento continuo. Niente più vampiri, non persone da spremere come i tubetti di colore di Picasso, ma piacevoli contaminazioni. Non siamo qui per raccontare storie fini a se stesse, ma per comunicare attraverso storie. Ci vuole pazienza, tempo e dedizione. Non potremo dire di sì a tutti, è inevitabile. Ma quello che faremo, lo faremo nel nome del padre.


Nulla Spa* è un’idea di Danilo Masotti, tratta dal libro “Ci meritiamo tutto”

Fonti: “Semina come un artista”, Austin Kleon